Sad eyes never lie

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    Prendete la ragazza, prendetela!
    Quelle parole riecheggiavano nella mia mente, come se un tornato mi avesse presa, sbalzata via e fatta girare fino a che non si era fermato. Mi sentivo come se fossi stata infilata in un sacco e sbattuta di qua e di là, o meglio, la mia testa si sentiva così. Non riuscivo a capire nulla se non quel battito doloroso, costante e forte dentro alla nuca. Le mie tempie stavano per scoppiare, me lo sentivo: sarebbe successo da un momento all'altro.
    Il mondo era buio e sotto di me non c'era la pietra familiare della mia cella, era una sensazione che non avevo mai provato in vita mia e... pizzicava. Mi pizzicava ovunque! Gli occhi mi si aprirono a fatica, sembrava come se una colla mi avesse incollato le palpebre insieme tanto dovetti sforzarmi. Quando finalmente riuscii a schiuderle, la luce che mi investì fu così violenta da farmeli richiudere subito. Cielo, ero così stanca! Le mie mani si strinsero attorno a qualcosa di sottile, la stessa cosa che mi solleticava la pelle. Erba! Ne avevo sentito parlare, ma perché c'era dell'erba? Non capivo. Cos'era successo?
    L'unica cosa di cui in quel momento ero certa, era che la mia gola urlava di dolore, avevo sete, una sete da morire. Mi sentivo secca ed arrugginita, una cosa che mi era successa solamente quando avevano fatto quell'orrendo esperimento. Non volevo ricordare. Riaprii gli occhi e stavolta fu più facile e meno accecante della precedente, la luce del sole era stranamente calda, non mi faceva avere freddo nonostante fossi coperta solo dal camice di laboratorio a cui mi strinsi forte. C'erano così tante persone e nessuna di queste l'avevo mai vista, un'irrefrenabile paura mi si attorcigliò al cuore, cercai di urlare, ma dalla mia gola non uscì nessun suono se non uno smorzato mugolio.
    La mia schiena si scontrò contro qualcosa di duro, non sapevo dove andare, cosa fare. Tutti mi guardavano come se fossi un animale impaurito e probabilmente era vero, era stato così da quando ero nata. Ma questo non era un laboratorio. Non sapevo nemmeno cosa “questo” fosse!
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    Cara io ho aperto qui, tu poi dimmi se va bene e rispondi con chi vuoi!


    Edited by franzi‚ - 20/10/2013, 15:08
     
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    Kendragon

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    Eravamo partiti con una spedizione per attaccare una banca, ma ci eravamo ritrovati ad attaccare un anonimo furgone che - da come era stato difeso - doveva contenere qualcosa di estremamente importante. Nel parapiglia generale avevo visto un paio di sagome uscire dalle rovine del furgone che avevamo finito col tamponare nell'inseguimento. Le avevo poi perse di vista, ma avevo notato che una di quelle era vestita inspiegabilmente di bianco. Mentre cercavamo di catturare i nostri nemici - cercando di ottenere il minor numero di perdite da entrambi i lati della "trincea" - i miei occhi notarono nuovamente quella sagoma vestita di bianco, e questa volta mi fu più facile comprendere di cosa si stava parlando.
    Era una ragazza dai lunghi capelli mori, vestita con un camice ed in visibile stato confusionale. Camminava facendo fatica a reggersi in piedi e quasi per miracolo non era stata ancora colpita da niente e nessuno. Probabilmente il prezioso carico di quel furgone doveva essere lei. Quando avrebbero smesso di fare esperimenti? Scollai la testa amareggiato e corsi da lei.
    « Sono qui, piccola. Kendragon è qui per aiutarti. » Le dissi prendendola con delicatezza e spingendola più verso le fronde, lontano dalla traiettoria di proiettili ed altro. Non appena le fui vicino, compresi subito a che razza appartenesse. Era una mia compaesana in profonda disidratazione.
    « Presto, qualcuno porti dell'acqua! » Gridai rivolto ai miei compagni. « Andrà tutto bene vedrai. Fra poco sarà tutto finito. »
    Cercavo di rassicurarla mentre con le braccia e la mia giacca tentavo di coprirla quando possibile dal freddo dell'inverno. Nella mia testa invece, non potevo che inorridire per ciò che tenevo fra le braccia. La mia bambina avrebbe potuto avere la sua stessa età se solo fosse ancora viva, e vedere quella giovane donna ridotta in quello stato, non poteva che far piangere il mio povero cuore di padre.
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    morning, forest near Nythra
    Kendragon... l'uomo che mi stringeva al petto come se fossi una bambina, si chiamava così. Era stato lui a portarmi lontano da tutto quell'assordante rumore, non ne ero certa, ovvio, ma qualcosa mi diceva che quel frastuono sarebbe finito presto . Cercai di guardare com'era la situazione al di là sue spalle quando un piccolo particolare riuscì ad attirare maggiormente la mia attenzione, proprio lì, esattamente sotto il suo orecchio, si trovavano piccole fessure lineari. Incapace di trattenermi ne segnai il profilo con un polpastrello, erano uguali alle mie.
    « Tu... tu sei come me. Chi sei? »
    Questa volta, sebbene a fatica, la mia voce riuscì ad articolare i suoni necessari a farmi capire, non avevo mai immaginato che poter parlare potesse essere un'operazione così complicata. Vabbè che non ero mai stata una persona molto loquace, non ne avevo mai avuto bisogno dato che non c'era mai nessuno con cui parlare. Ancora tremavo e non era del tutto sicura se di freddo o di paura, probabilmente di entrambi, decisi di non preoccuparmene più di tanto. Infondo, peggio di così non poteva andare. Ora sapevo, però, che i miei aguzzini non stavano avendo la meglio nello scontro. Nonostante non riuscissi a distogliere il mio sguardo dalla figura enorme -in confronto alla mia- che mi teneva rinchiusa tra lui e il tronco dell'albero, le mie orecchie perfettamente funzionanti, o quasi, non captavano più gli spari. Ne avevo sempre sentiti così tanti, non avevo mai capito da dove provenissero quando ero rinchiusa.
    « Chi siete? »
    Ripetei stanca, non vedevo l'ora di poter assaggiare l'acqua che aveva chiesto per me. Non poteva essere una persona cattiva se voleva dari da bere, nessuno di quelli che mi aveva dato dell'acqua era mai stato cattivo con me. Già... lui era sicuramente una brava persona, ma gli altri? Gli altri avevano quegli aggeggi che avevano ucciso la mia scorta, volevano uccidere anche me? Rabbrividii ancora, non potendo farne a meno.
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    La ragazza fra le mie braccia alzò una mano, andando a toccare le mie branchie. Non doveva aver visto molti umanoidi - se non vestiti con camici e maschere - nella sua vita, e forse nemmeno molti della sua razza. Sorrisi rassicurante mentre con la coda dell'occhio vedevo movimento alla mia destra. Joeycia arrivò di corsa con l'acqua e si accovacciò al mio fianco facendo assieme a me scudo contro il freddo. Dietro di me il caotico campo di battaglia si stava lentamente appianando. Come solito avremmo preso con noi gli uomini in buona salute - per poterli poi scambiare con i nostri soldati catturati o per carpire informazioni - e avremmo lasciato liberi i feriti. A differenza di coloro che stavano trasportando la ragazza, la nostra intenzione non era quella di catturare e segregare qualcuno, non era colpa loro se avevano scelto di seguire le regole dei dominatori. Non a tutti era dato di poter scegliere. Coloro i quali si aggregavano alla resistenza erano persone sole, con niente o quasi da perdere. Ma nessuno con famiglia avrebbe seguito le nostre orme, se non assolutamente certo che i suoi cari sarebbero stati al sicuro. Ma la parola "sicuro" per i ribelli era pressoché inesistente.
    « Adesso bevi, chi siamo noi non ha importanza, ma da come ti stavano difendendo, tu ne devi avere molta. » Dissi avvicinando la borraccia alle sue labbra, e non appena l'acqua le bagnò la bocca, ne fu subito avida e si aiutò con le mani per berne il più possibile. Sembrava non vedesse acqua da una giornata intera, povera piccola. Joeycia mi aiutò poi a sollevarla tenendola da sotto la spalla sinistra, allo stesso modo in cui io sostenevo la destra. Ci incamminammo lenti verso il nostro veicolo.
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    Edited by franzi‚ - 21/10/2013, 18:11
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    L'uomo mi sorrise, ma l'unica cosa che mi consolava non era quello: erano le sue branchie. Non ne avevo mai viste su quelli che facevano esperimenti su di me, avevo sempre saputo di quel particolare che mi rendeva diversa. Di quella “cosa” in me che cercavano di conoscere in tutti i modi, dei segreti del mio corpo dicevano. Chi l'avrebbe mai detto che non ero la sola? D'altronde nessuno si era mai degnato di dirmi mai nulla o di darmi un'occhiata in più del necessario, ma chissà a quante altre persone avevano riservato lo stesso trattamento che avevano usato su di me. Non avevo nemmeno la forza di immaginare così tanto scempio.
    Qualcun altro arrivo come un lampo vicino a noi, un altro essere a farmi scudo dallo scontro alle loro spalle, come se fossi una ragazza facilmente impressionabile. Li capivo e mi facevano paura allo stesso tempo, era probabilmente la sensazione più strana che avessi mai provato. Il bello di tutto ciò era che non me ne poteva interessare assolutamente di meno di quello che succedeva agli uomini della mia scorta, a malapena li ricordavo.
    Il suo tono di comando era mitigato dalla mitizza con cui cercava di rivolgersi a me, ma io non ero un animale in gabbia, sebbene confusa e alquanto destabilizzata dalla situazione, e di conseguenza necessitavo una risposta alle mie domande. Che avrei preteso non appena la mia gola non avesse più bruciato come un camino acceso. Nonostante tutto aveva ragione: mi serviva una gran dose di acqua per non sentire più tutte le mie articolazioni grattare come facevano adesso. Infatti, appena sentii la prima goccia bagnarmi le labbra, trovai la forza per strappargli la borraccia dalle mani e ne bevvi tutto il contenuto. Non cessò il mio bisogno, ma servì a fare il suo dovere. Ora mi sentivo di nuovo in forma, erano giorni che non bevevo così tanta acqua nello stesso momento!
    Poi, dopo aver ripreso il loro avere, mi aiutarono ad alzarmi sostenendomi uno per lato, non opposi resistenza e feci quello che dicevano. Non avevo intenzioni di aiutare i camici bianchi, la sola scelta che mi rimaneva era seguire loro.
    Una volta che la situazione sarebbe stata più tranquilla, però, anche la sola scelta di quell'uomo sarebbe stata di rispondermi chiaramente.
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    Kendragon

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    Aprii le portiere del furgone - che avevamo reso mimetico con molti strati di vernice colorata - e feci sedere la ragazza nel posto più comodo, aiutandola come potei, poi mi sedetti accanto a lei lasciandole del tutto la mia giacca a mo di coperta. Qualcuno salì davanti nel furgoncino e lo mise in moto. Una parte di noi sarebbe tornata al quartier generale, altri sarebbero rimasti sul campo di battaglia per prelevare ogni cosa che ci fosse stata utile. Dopo di noi salirono altre quattro persone, delle quale una ferita piuttosto gravemente, venne stesa su un letto di giacche e cuscini. Non era certo come un letto d'infermeria, ma era sempre meglio che niente. Venne data dell'acqua a tutti i feriti, lei compresa ed il furgoncino si mosse.
    « Adesso ti porto nella nostra casa. Li ci sarà qualcuno pronto a visitarti per assicurarci che tu stia bene e che il livello di acqua e proteine nel tuo corpo sia buono. So che non ne potrai più di medici, ma durerà pochissimo e finalmente potrai toglierti questo camice. »
    Le dissi cosa stava per succedere di modo che non ricevesse più novità di quante già non ne avesse viste quest'oggi. Avrei risposto a tutte le domande che mi avrebbe fatto - certo non a quelle che necessitavano di una lunghissima risposta, ma alla maggior parte.
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    La macchina venne aperta ed io fui subito messa a sedere, mi aiutarono anche in questo, ma decisi di non lamentarmi troppo. Dovevano avermi dato qualche sedativo: di solito non ero così stordita, anzi, tendevo a reagire piuttosto velocemente alle sorprese. Ci ero, come dire, abituata. Mi misi comoda, questa volta da sola e quando fui ferma Kendragon si sedette accanto a me, probabilmente per non farmi cadere di lato una volta che ci saremmo messi in moto. Con la giacca che gentilmente mi aveva prestato mi coprii come meglio potei, non era caldo né fuori né dentro ed il mio camice non era esattamente il materiale più adatto per riparare qualsiasi cosa dal freddo. Poco dopo salirono altre persone, una di loro era gravemente ferita e mi sentii impotente di fronte a quella distruzione: non potevo fare nulla per lei. Fecero sdraiare la poveretta su una specie di giaciglio, diedero da bere a tutti e poi partimmo. Tesi la mano alla ragazza che non riuscì a stringerla e guardai preoccupata il mio “salvatore”.
    « Curate lei prima, io sto bene. »
    A me non servivano cure immediate infondo e più mi guardavo intorno più vedevo della gente ferita. E tutto per salvare me perché pensavano fossi qualcuno di importante, al massimo avrei potuto dirgli tutto quello che sapevo dell'organizzazione, ma non molto di più. La gente tende a dirti tutto quando pensa che non uscirai mai viva da dove sei nata.
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    Wang | 04 february 2802 | 45 years | rebel | #scheda
    Sorrisi amorevole per la premura che provava verso una persona che non aveva mai visto e che non conosceva per niente. Un cuore docile non risiede sempre nelle persone che hanno subito abusi, ma se c'è, allora è veramente in grado di amare.
    « Non preoccuparti. A lei verranno date tutte le cure possibili e ci abbiamo abbastanza medici per non trascurare nessuno. »

    Il viaggio non durò tanto anche se fu un po' movimentato. Purtroppo non ci era dato di fare le strade comuni, perchè avremmo rischiato di essere fermati dalle guardie Chomatron e costretti a mostrare il nostro carico e di conseguenza imbatterci in una ulteriore lotta che non eravamo in grado di vincere. Noi dovevamo fare le strade meno comode, più lunghe e piene di buche per le terribili piogge acide. Ma per lo meno ci garantiva sicurezza. Giunti a destinazione - ovvero un non troppo grande magazzino di scarico disabitato, lontana dal centro abitato e immerso in una campagna di proprietà di un contadino che ci aveva sempre aiutato - scaricammo i feriti per procedere alle prime cure di emergenza e sistemarci per la notte. Avremmo richiesto l'assistenza di un mezzo più attrezzato che si sarebbe mosso nella notte per raggiungere il magazzino e prima dell'alba avrebbe trasportato i feriti più gravi. Coloro di noi rimasti avrebbero rischiato con il procedere dell'alba e avremmo raggiunto l'entrata delle cave con più calma e discrezione.
    « Siamo arrivati alla prima tappa del nostro rientro a casa. Purtroppo non possiamo affrontare tutto il viaggio in questa giornata. Abbiamo bisogno di riposarci e quella donna ha bisogno di essere trasportata su un mezzo più consono alle sue condizioni. » Le dissi mentre attendevo che la barella uscisse e dietro di lei tutti coloro che invece erano in grado di camminare autonomamente.
    « Questo è un luogo sicuro, dove nessuno ti cercherà. Devi essere affamata. » Continuai alzandomi e facendo da chiudi fila assieme alla mia assistita che muoveva passi a fatica, un po' scossa ancora da tutte queste nuove esperienze e luoghi. Pareva che non avesse mai visto altro che le bianche pareti delle sale operatorie.
    Lasciammo che il nostro furgone andasse a mimetizzarsi dietro il magazzino e serrammo tutte le finestre di modo che non si vedesse nemmeno uno spiraglio di luce artificiale dal di fuori. L'impianto sfarfallò per qualche minuto prima di stabilizzarsi in tutti i locali del magazzino ed ognuno scelse un posto dove trovare risposo. Allo stesso modo feci io per la ragazza. Joeycia tornò da noi dopo essersi occupata della donna grave e chiese alla piccola di seguirla. Le avrebbe dato vestiti e avrebbe controllato che sul suo corpo non ci fossero lesioni. Una volta sistemata e vestita, sarebbe tornata da me, che l'aspettavo nell'alloggio improvvisato.
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    Per la parte in cui Joeycia ti controlla e veste vedi tu se raccontarla oppure evitare, più che altri ti chiederà sicuramente il nome non appena sarete entrate in una stanza - ovviamente da sole - e ti avrà chiesto di togliere il camice. Non è bello visitare una persona della quale non conosci nemmeno il nome. Essendo un paramedico sarà sicuramente cordiale e paziente. Per il resto fai tu, altrimenti se vuoi creo un png (personaggio non giocante) temporaneo e facciamo la ruolata come si deve (:


    Edited by franzi‚ - 21/5/2014, 10:53
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